Quello che mi ha spinto a scendere nell'agone della battaglia politica è anche l' idea di dare voce a questa sinistra coraggiosa , è la speranza di dare ai miei figli, ai giovani e ai delusi, l'esempio della validità di una lotta per il bene comune e la solidarietà. Dobbiamo rilanciare il valore dell'impegno politico e incoraggiare la ripresa di un laico contraddittorio , anche al nostro interno, per salvare il sistema di democrazia reale , per una società equa e libera, per gridare ancora una volta a gran voce " il re è nudo".

sabato 12 luglio 2008

Chi se ne frega di Mara Carfagna

Marco Bascetta "IL MANIFESTO DEL 11 LUGLIO 2008"

«Ubi minor maior cessat». Si direbbe che il ribaltamento di uno dei più abusati detti latini domini incontrastato il dibattito pubblico in Italia. Non è una novità. Da tempo scritte murali e bandiere bruciate, chiacchiere da ubriachi e slogan truculenti, lancio di ortaggi, fischi e sberleffi sono stati trasformati in cruciali questioni politiche, emergenze nazionali, oggetto di commenti, editoriali, interrogazioni parlamentari. Le agitate reazioni alle esibizioni di Grillo e Guzzanti in piazza Navona a Roma rientrano pienamente in questo clima che finisce col contagiare anche il direttore di Liberazione Piero Sansonetti, il quale denuncia addirittura una «crisi di civiltà».

Parola grossa e quant'altre mai equivoca. Dopo la dottrina dello «scontro di civiltà», Guantanamo e la guerra irachena non ci sarebbe bisogno di scomodare Nietzsche o Freud o il colonialismo europeo, per ricordarci su quali basi poggi la nostra «civiltà». La quale include fenomeni ben peggiori di qualsiasi improntitudine. Dunque, forse, è di «galateo» che si intendeva parlare. Ma anche in questo caso non servirà rimestare nella critica delle «buone maniere»(delle quali i congressi di Rifondazione offrono un luminoso esempio) per concludere che con la politica c'entrano assai poco. Oltre alla proverbiale rivoluzione, anche la lotta politica, quando non si tratti di un insulso minuetto veltroniano, non è un pranzo di gala. Senza contare che si possono mandare al massacro immense moltitudini o precipitare nella miseria intere popolazioni senza mettere i gomiti sul tavolo e con la cravatta perfettamente annodata. Seguendo britannicamente l'etichetta della nostra «civiltà». Tale è l'ipnosi esercitata dal formalismo della democrazia rappresentativa che l'attenzione si sposta addirittura dalle forme e i dispositivi dello stato di diritto, che comunque conservano qualcosa di sostanziale, a pure e semplici questioni di buona creanza. Dal rispetto delle regole alla censura delle parole e dei gesti. Tuttavia accade talvolta che il moralismo dei comici ben poco si discosti da quello dei preti e dei questurini. E sempre confluisce in cattiva politica. Così Grillo, che sembra far sua la battaglia delle famiglie di Chiaiano contro la discarica, poche settimane fa avrebbe escluso dall'esercizio dei diritti politici un eventuale membro di quelle famiglie colpito da provvedimento giudiziario, per resistenza e oltraggio, blocco stradale o violazione di territorio militare. Sarà anche satira efficace, ma certamente è cattiva politica. Come cattiva politica è rinfacciare a Grillo i suoi lauti guadagni, quanto lo sarebbe rinfacciarli al direttore del Corriere della sera o al conduttore di un talk show. Irresistibile è la tentazione di far la morale ai moralisti. Di Pietro, Grillo, il Pd e tutta la casta degli indignati, girotondisti, rondaioli e forcaioli, sono immersi fino al collo nello stesso liquame. Non è la volgarità delle parole, ma la miseria dell'orizzonte politico, la futile cattiveria delle tolleranze zero, la desolante assenza di pensiero razionale, l'opportunismo e l'ipocrisia a soffocarci giorno dopo giorno. Seguendo le retoriche moraliste si viaggia sicuri, non verso il puritanesimo sociale scandinavo, ma verso lo stato di polizia o qualcosa di peggio. Il fatto è che la democrazia sopravvive solo allargandosi e ad allargarla provvedono non i galatei, ma i conflitti. E i conflitti, guardando a una legalità futura, non sempre si piegano a quella presente e men che meno alla mentalità di un partito, l'Italia dei Valori che, quanto alla stupidità del suo nome, è pari solo a Sendero luminoso. Di Mara Carfagna, poi, chi se ne frega. Di insultarla o di chiederle scusa.

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